Il Presidente del consiglio non perde un’occasione per dare sfogo alla sua loquacità, puntualmente amplificata dalla stampa. Dopo il lancio del concorso sulla scuola, che nel frattempo è stata stravolta dalla legge 107/15, ora tocca all’Università. In particolare ad uno degli anelli più deboli dell’agonizzante sistema universitario nazionale, ossia i ricercatori precari. Questi ultimi sono colpevoli di protestare, a detta del governo di lamentarsi, perché non trovano uno sbocco lavorativo e professionale negli atenei italiani, dove portano avanti da anni i progetti di ricerca e lavorano anche alla didattica, mantenendo così un’ampia offerta formativa. Una pecca inammissibile per la propaganda governativa, che magnificava lo straordinario biennio appena trascorso. D’altra parte è colpa dei precari se, a partire dal 2009, è stato tagliato oltre un miliardo di euro all’università italiana (dati Ocse). È loro la responsabilità se, in un sistema bloccato e corporativo, sia riuscito ad entrare a tempo indeterminato negli atenei soltanto il 3,1% in dieci anni (dati Ricercarsi). Questi ingrati osano anche contestare i due anni di blocco dell’abilitazione scientifica nazionale, un sistema barocco e costoso voluto dall’Anvur, ma senza il quale l’accesso alla carriera è bloccato.