A seguito delle occupazioni avvenute nelle scuole della Provincia di Pisa ci sentiamo di fare alcune osservazioni.
Di fronte a quanto avvenuto in alcune scuole è scontato e doveroso condannare l'accaduto, e la prima reazione è sicuramente un senso di sconforto e di distanza rispetto a coloro che si sono resi responsabili di danneggiamenti, scritte vergognose, offese al personale, furti e disprezzo del bene pubblico.
Innegabilmente comportamenti di questo tipo nascondono un profondo disagio sociale, che (qualunque sia la matrice) deve essere indagato per poter essere gestito e possibilmente fermato. Per evitare scorciatoie autoassolutorie o meramente securitarie, crediamo utile porre al centro una riflessione che indaghi in primo luogo l'origine del disagio e in secondo luogo il ruolo della protesta nella società, tenendo presenti i cambiamenti che l'hanno segnata negli ultimi decenni.
Dagli anni ottanta, infatti, abbiamo assistito a un fenomeno di forte depoliticizzazione della società sia a livello nazionale che internazionale. Le politiche di privatizzazione dei servizi pubblici, così come la deresponsabilizzazione dell’intervento statale che lascia il singolo individuo isolato ad affrontare le diverse crisi economiche degli ultimi anni, hanno comportato l’affermazione di un forte individualismo e la perdita di riconoscimento delle istituzioni pubbliche. Nonostante questo contesto, non sono venute meno esperienze che hanno tentato di contrastare questa deriva, di cui le occupazioni sono state (e possono essere) una delle espressioni.
L’occupazione, infatti, si può configurare come il riappropriarsi da parte degli studenti di un luogo in cui possano portare avanti rivendicazioni e proteste, ritrovarsi con uno scopo comune, crescere con discussioni e momenti assembleari, imparare a stare insieme con un fine che sia altro rispetto al proprio quotidiano o al semplice divertimento.
Ma se storicamente l’occupazione ha avuto anche questa valenza, in alcune delle ultime esperienze si è trasformata in occasione per distruggere, rubare, offendere; con derive che in alcuni casi hanno fatto emergere anche scritte neofasciste e offese alle persone omosessuali, alle donne, alle persone con disabilità. Questo impone una riflessione su tutta una serie di aspetti: dalla disabitudine dei giovani al conflitto e alla discussione collettiva, al disagio umano e sociale di alcune situazioni, dalle difficoltà relazionali legate alla tendenza individualista del momento storico che viviamo e cui abbiamo accennato sopra, all’emergere di comportamenti legati a una sorta di rabbia o insoddisfazione a cui è necessario trovare un nome prima ancora di una via d’uscita.
É anche fondamentale non dimenticare che il rispetto dell’altro/a e del bene pubblico passa anche dal senso di appartenenza e dal sentirsi attivamente coinvolti in un ambiente, in una comunità. Se il contesto intorno non crea le condizioni affinché un/una giovane - o, peggio un gruppo di giovani - se ne senta parte, è molto più probabile che emergano fenomeni vandalici, proprio perché l’ambiente e le istituzioni offese non sono percepite e riconosciute come facenti parte della propria realtà. Anzi, in alcuni casi il senso di ribellione giovanile, privo degli strumenti culturali/emotivi/relazionali necessari, viene facilmente convogliato proprio verso gli organismi costituiti. Lo vediamo in moltissime scuole, dove ormai è estremamente difficile fare lezione per il tasso di insofferenza e di rifiuto che le contraddistingue, in alcune precise situazioni e che si sta allargando sempre di più.
Sono aspetti che in questa sede non possiamo ovviamente sviscerare, ma che dovrebbero essere al centro di un'approfondita riflessione collettiva.
La scuola non può non chiedersi come gestire l'educazione dei ragazzi al conflitto, evitando la criminalizzazione. Prospettiva che, invece, è sottesa al Decreto Legge 1660/2024, che con il suo carattere autoritario rischia di comprimere i diritti fondamentali, colpendo le libertà individuali.
A tale fine è importante ripartire anche dalle ragioni di queste proteste. Le istanze portate avanti da una parte delle scuole e degli studenti, infatti, al netto degli episodi che purtroppo si sono verificati, rappresentano alcuni degli aspetti critici della situazione scolastica, tra cui il taglio all'assistenza specialistica, la situazione del personale precario, la carenza di personale ATA, il disinvestimento e quindi la riduzione della spesa pubblica per la scuola, la mancanza di spazi adeguati per il confronto, il fatto insomma che si stia ridisegnando profondamente la struttura del sistema scolastico. Questi aspetti spesso vengono persi di vista in un contesto scolastico sempre più finalizzato a sviluppare competenze spendibili sul piano lavorativo invece che strumenti critici, a creare percorsi differenziati qualitativamente e quantitativamente, a promuovere differenze gerarchiche all'interno del personale, a trasformare i docenti in burocrati, a far accettare le carenze strutturali come qualcosa di ineluttabile. E rivendicazioni come queste, sia pratiche che di principio, rischiano di assottigliarsi in una scuola intesa non più come possibilità di ascesa sociale, e quindi primo motore per il raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale, ma piuttosto come momento di passaggio per entrare nel mondo del lavoro.
Come sindacato, pensiamo che sia necessario un confronto su questi temi. La scuola è di tutti, studenti e lavoratori: è importante evitare divisioni o letture generalizzanti e cercare di lavorare per un obiettivo comune, nell'ottica di una scuola che sia volta veramente alla formazione degli individui e che non lasci indietro nessuno. Ed è fondamentale, per il corpo docente e la cittadinanza tutta, raccogliere da questa esperienza gli aspetti di insegnamento - e cioè sia i segnali di disagio che le istanze politiche/sociali - cercando un terreno comune che permetta un coinvolgimento delle giovani generazioni realmente costruttivo. Perché la scuola e la società non si chiuda in sé stessa, ma ricostruisca quei legami di solidarietà che il neoliberismo ha da tempo incrinato.
*Documento frutto di una elaborazione di un gruppo di insegnanti