Riportiamo di seguito l'articolo di M. Tiriticco, pubblicato su Dirigenti Scolastici - Notiziario Nazionale FLC CGIL - 050 - 2015 - 29 Novembre 2015.
Sono un cittadino della Repubblica impegnato nel sociale e nel professionale, ma sono anche, in qualità di dirigente tecnico emerito dell’Istruzione, un uomo delle istituzioni. Pertanto, come cittadino, tento di adoperarmi perché le leggi siano sempre in grado di affrontare e risolvere i problemi che emergono nei diversi settori pubblici e perché vengano poi applicate nel migliore dei modi. Di qui, come cittadino, la mia posizione contraria a quanto sancito dalla legge 107; ma, come uomo delle istituzioni con precise e definite competenze professionali, una volta che la legge è stata approvata, sono sempre disponibile affinché sia realizzata nel migliore dei modi possibili.
Nella mia lunga vita professionale ho avuto la fortuna di imbattermi in leggi per cui mi sono adoperato e che ho sempre condiviso, dalla riforma della scuola media del 1962 all’innalzamento dell’obbligo di istruzione del 2006. Si è trattato di un mezzo secolo di grandi trasformazioni, nel campo sociale, in quello economico e anche in quello dell’istruzione. La legge successiva tendeva sempre a migliorare quella precedente, e il nostro sistema di istruzione ne ha fruito positivamente e i nostri giovani, soprattutto, anche. E non è un caso che l’analfabetismo strumentale è stato sconfitto da decenni, anche se quello funzionale è ancora persistente, come le recenti ricerche internazionali dell’Ocse ci confermano.
Con l’inizio del nuovo secolo si è aperta una stagione convulsa per la nostra scuola. Si sono avvicendati governi di diverso colore e leggi a volte in contraddizione una con l’altra che non pochi problemi hanno prodotto nella scuola e nei suoi insegnanti più che risolverli.
E tutto ciò, nonostante un insegnamento che ci viene da lontano e che voglio riprendere. John Dewey in Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1949, a p. 111, scrive quanto segue: “Una società distinta in classi deve prestare attenzioni speciali soltanto all’educazione dei suoi elementi dirigenti. Una società mobile, invece, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbe dei risultati delle attività altrui cieche e dirette dall’esterno”.
Ed è ciò che è avvenuto con il varo della legge 107. Dirigenti scolastici e insegnanti non solo non sono stati coinvolti nel processo di un cambiamento che vuole avere un carattere epocale, ma addirittura ne sono stati esclusi e sopraffatti a cose avvenute. Il che è testimoniato dalle iniziative che hanno coinvolto in tutte le città d’Italia decine di migliaia di insegnanti e di dirigenti.
E anche uno studioso del nostro secolo, Tullio De Mauro, su un recente numero della rivista “Internazionale” è fortemente critico nei confronti della legge 107 e, tra l’altro, denuncia tre silenzi della legge che fanno male alla scuola: 1) il mancato riconoscimento per ciò che la nostra scuola pubblica ha fatto dalla Liberazione e per tutta la seconda metà del secolo scorso; 2) i vincoli che la Costituzione ha posto alla scuola pubblica, che non è un pezzo qualunque dello Stato, ma un organo costituzionale a cui sono affidati precisi doveri, compiti e obiettivi; 3) la progressiva dealfabetizzazione della nostra popolazione adulta, denunciata da tutte le ricerche internazionali e non, di cui la scuola, e soprattutto quella media superiore, ha una precisa responsabilità.
Che la nostra scuola necessiti di un riordino da almeno un decennio, se non oltre, è fuor di dubbio. Ciò che avviene giorno dopo giorno nel mondo dei saperi, delle competenze e del lavoro è sotto gli occhi di tutti. E non c’è sistema scolastico di un Paese ad alto sviluppo che non si adegui, giorno dopo giorno, a queste necessità. E noi italiani facciamo ormai parte di un’Unione europea che si compone di ben 28 Paesi: ciascuno ha un suo sistema scolastico e ciascun si adopera per renderlo sempre migliore e all’altezza delle esigenze sempre nuove che si manifestano nel mondo della cultura e in quello del lavoro. L’Unione europea non chiede di adottare un sistema scolastico unico per tutti i Paesi membri: sarebbe impossibile e folle. Ma ci ha dato indicazioni precise circa le finalità che ogni scuola deve perseguire. Con una Raccomandazione del 2006 ci ha indicato le competenze di cittadinanza attiva che garantiscono a ciascun cittadino dell’Unione l’accesso a quell’apprendimento che ormai chiamiamo permanente: la società cambia rapidamente e siamo tutti tenuti ad apprendere sempre, ogni giorno. In seguito, con una Raccomandazione del 2008, l’Unione ci ha indicato otto livelli di competenze, dai minimi ai massimi, ai quali ogni sistema scolastico europeo deve attenersi per organizzare sempre al meglio il suo sistema di istruzione generalista e di formazione professionale.
In ordine a queste indicazioni e finalità, ormai transnazionali, la legge 107 dimostra tutta la sua debolezza. E ne indico le ragioni.
Ciò di cui il nostro Sistema nazionale di istruzione necessita è un urgente riordino dei cicli. Esiste tuttora una scuola per l’infanzia non obbligatoria, quando invece l’obbligatorietà almeno del terzo anno (5-6 anni di età), anche in considerazione che una grande maggioranza degli iscritti alla prima classe primaria sono da tempo anticipatari, permetterebbe l’avvio – ovviamente da considerare con tutte le cautele possibili – di quegli insegnamenti previsti dalle Indicazioni nazionali del primo ciclo di istruzione. Va anche considerata la frammentazione in tre gradi del percorso obbligatorio decennale, che viene da lontano e che di fatto non permette che le
competenze terminali degli alunni vengano concretamente certificate alla fine del biennio di un’istruzione secondaria, ulteriormente suddiviso e spezzettato nei tre ordini di sempre, sanciti fin dalla riforma Gentile del 1923. In nessun Paese europeo oggi gli indirizzi liceali, tecnici e professionali, sono così connotati da sancire quelle differenze di classe che ancora connotano, invece, i nostri percorsi. Com’è noto, in Italia si iscrivono ai licei i figli dei “dottori”, ai tecnici gli alunni considerati non portati per studi impegnativi, e ai professionali i cosiddetti “sfigati”. Abbiamo così ancora, in pieno Terzo millennio, un’istruzione secondaria che potremmo definire, con un’espressione un po’novecentesca, di classe.
Per quanto riguarda, poi, la terminalità degli studi secondari, siamo tra gli ultimi Paesi che licenzia i suoi alunni a 19 anni di età, per di più maggiorenni. Un riordino dell’intero sistema di istruzione, cha parta dal basso verso l’alto, dovrebbe prevedere l’uscita dal sistema secondario a 18 anni età. Per non dire, poi, che ancora non siamo stati capaci – nonostante la legge di riforma degli esami di Stato sia del lontano 1997 e lo preveda – di certificare quelle competenze di uscita assolutamente necessarie perché il titolo di studio abbia un vero valore reale, oltre a quello legale che, com’è noto, non ne esaurisce lo spessore professionalizzante. Vorrei sperare che il decreto legislativo di competenza del Miur, relativo all’“adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di Stato”, previsto dalla legge 107 (articolo 1, comma 181), vada in porto al più presto possibile.
Ma la cosa più preoccupante della legge 107 è, a mio avviso, che nella sua progressiva attuazione, nei prossimi anni si vengano a rompere quei principi dell’eguaglianza e dell’equità che invece, a norma costituzionale – considerando anche la riscrittura del Titolo V della Costituzione – devono caratterizzare l’intero sistema di istruzione. L’articolo 2 della Costituzione afferma tra l’altro che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. E la prima formazione sociale che accoglie e forma i cittadini, tutti e ciascuno, è la scuola! Nell’articolo 3, infatti, leggiamo che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Si tratta di impegni che abbiamo assunto nei confronti di tutti i cittadini. E non è un caso che da quel lontano 1948 ci siamo adoperati in ogni modo perché la scuola garantisse a tutti, nessuno escluso, di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione. Abbiamo costruito, quindi, una scuola che offrisse a tutti non solo le stesse opportunità, ma abbiamo anche lanciato la sfida di accogliere nelle nostre aule anche gli alunni diversamente abili (legge 517/1977).
Oggi, a mio avviso, con la legge 107 si compie una scelta opposta. Si innescano meccanismi tali per cui avremo, nel prosieguo del tempo, scuole in competizione tra loro per offrire insegnamenti e insegnanti diversi e concorrenziali. Si innestano così atteggiamenti e comportamenti competitivi sia nei dirigenti scolastici che negli stessi insegnanti. I primi saranno tenuti a scegliere dal mercato di elenchi territoriali gli insegnanti che saranno considerati i “migliori”. E gli insegnanti non scelti saranno assegnati di ufficio alle scuole in cui si verificheranno dei “buchi”. Così nel medesimo istituto avremo l’insegnante “bravo” in quanto scelto e quello “tollerato”, in quanto assegnato d’ufficio. Per non dire poi che, dopo un triennio, l’insegnante scelto potrebbe essere sostituito da un altro ritenuto “migliore” e/o più adatto alle finalità e agli obiettivi proposti da un piano triennale riveduto, corretto e aggiornato. Si avrà quindi una circolazione di insegnanti da scuola a scuola che rompe non solo la continuità didattica, ma anche la certezza e il diritto al posto di lavoro che, invece, sono dovuti – com’è noto – a una faticosa conquista di tanti anni di lotte sindacali e politiche.
Avremo scuole, dirigenti e insegnanti in concorrenza tra loro, e il tutto con la sanzione indiscussa e indiscutibile delle prove Invalsi: una sorta di Moloch! Avremo così scuole cosiddette migliori e scuole cosiddette peggiori, come vogliono le rigide leggi del mercato: una vera e propria privatizzazione di un servizio che è nato pubblico e che pubblico dovrebbe restare! Addio per sempre alla scuola della Costituzione! E in nome e in forza di un’autonomia, a mio vedere, tradita!
Trascrivo quanto abbiamo scritto anni fa nel comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/1999: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del
sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.
Si tratta di un triplice impegno: educare ai valori della democrazia, formare tutti e ciascuno – non uno di meno – secondo le sue personali attese e attitudini, istruire a quelle conoscenze indispensabili al mondo del lavoro. Si tratta di tre percorsi paralleli e fortemente integrati, affinché ciascuno raggiunga il suo personale successo nella scuola, nel lavoro e nella vita.
Con la legge 107 questo impegno educativo e civile verrà a cadere. Avremo così una scuola “altra”, che nulla ha a che fare con una tradizione consolidata che ha avuto il suo inizio, fin dalla legge Casati che voleva insegnare a tutti a leggere, scrivere e far di conto. Avremo scuole diverse, tra loro in competizione, che promuoveranno i migliori ed escluderanno i peggiori! E vorrei veramente sbagliarmi!
Ormai la legge è legge e dovremo adoperarci perché la sua progressiva attuazione eviti per quanto è possibile le derive che ho denunciato. A mio avviso, sarà compito delle associazioni professionali degli insegnanti e dei dirigenti, delle associazioni dei genitori, dei sindacati di categoria, adoperarsi perché sui singoli territori non si verifichino quelle differenziazioni tra scuola e scuola che romperebbero quell’unitarietà dell’offerta educativa, formativa ed istruttiva auspicata e garantita dalla Costituzione. Sotto il profilo istituzionale, sui singoli territori spetta alle Reti di scuole, di cui all’articolo 7 del Regolamento sull’autonomia, divenire motore attivo perché tutte le istituzioni scolastiche presenti sul territorio garantiscano l’eccellenza dell’offerta educativa.
A mio avviso, gli anticorpi che possano evitare le conseguenze funeste che la legge 107 comporta sono nelle istituzioni scolastiche stesse. Quei principi della solidarietà (artt. Cost. 2 e 119) e della sussidiarietà (artt. Cost. 118 e 120), che sono i fondamenti della nostra convivenza civile e democratica, hanno la loro peculiarità in primo luogo proprio là dove i nostri bambini, italiani e stranieri oggi, crescono e apprendono, e che hanno pieno diritto ad un’offerta educativa che sia in grado – citando Don Milani – di dare di più a chi ha di meno! E tutto ciò, nonostante la legge 107! Innovare è necessario. Stravolgere è pericoloso.
Spetterà alla saggezza e alla mission dei nostri dirigenti e dei nostri insegnanti attenuare il più possibile le pericolose derive che la legge 107 potrebbe innescare. E l’Uciim, di conserva con tutte le altre associazioni professionali degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, e con le associazioni dei genitori, può e deve assumere tutte le iniziative del caso.
E… grazie di non avermi fischiato!!!
Maurizio Tiriticco