Martedì 31 Marzo dalle ore 9.30 si è tenuto nell’Aula Magna dell’Università di Firenze una giornata di confronto e di riflessione su “Dissesto geologico, lavoro, nuovo modello di sviluppo: dalla tutela del territorio alle nuove forme del costruire”.
L’evento è organizzato dal Dipartimento di Scienze della Terra, dalla Camera del Lavoro di Firenze, dalla FLC CGIL, dalla FILLEA CGIL e dall’associazione Proteo Fare Sapere.
Come trasformare un problema in un’occasione di sviluppo eco-sostenibile e di lavoro?
Questa è la domanda fondamentale a cui bisogna cercare di dare risposta. Il dissesto idrogeologico e le conseguenze dei terremoti rappresentano certamente un problema: frane e alluvioni si verificano continuamente e praticamente in ogni parte del territorio nazionale.
Però la causa principale non va ricercata nei cambiamenti climatici o nella costituzione geologica del nostro Paese, bensì nell’urbanistica e nel suo rapporto conflittuale con l’assetto idrogeologico del territorio.
Nonostante che l’Italia, unico Paese al mondo, si sia da tempo dotata di mappe delle aree a rischio idrogeologico, si continua purtroppo a costruire in tali aree.
Non ci si pone poi neanche il problema della protezione di ciò che sciaguratamente è stato costruito in passato nelle zone a maggior rischio.
Molti Comuni non hanno piani di emergenza per il loro territorio e moltissimi altri li hanno concepiti come meri esercizi burocratico-amministrativi.
Da circa un decennio è diventato possibile impiegare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni e questo, in un periodo di ristrettezze economiche e di tagli dei trasferimenti alle autonomie locali, si è automaticamente tradotto in un incentivo a “vendere il suolo per fare cassa”.
Molti invocano un’inversione di tendenza, moltissimi fanno proposte e lanciano iniziative, purtroppo pochi fanno veramente qualcosa di concreto.
La Regione Toscana ci sta provando, con la nuova legge di governo del territorio che blocca il consumo di suolo e che prevede che i piani di protezione civile diventino parte integrante della pianificazione comunale, ed anche con il piano paesaggistico che contiene un'invariante strutturale idrogeomorfologica.
Le controversie, anche politiche, che ne sono seguite dimostrano che molti non hanno ancora capito né cambiato mentalità.
La proposta di legge nazionale sul consumo di suolo giace da anni ferma in Parlamento, e intanto il suolo nazionale viene consumato al ritmo di 8 metri quadri al secondo, soprattutto nelle aree a rischio, dove nessuno si era mai sognato di costruire in passato.
Sono ferme anche le proposte di legge per l’istituzione di bonus fiscali (cosiddetti geobonus) per i cittadini che effettuino interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e di contrasto all’erosione del suolo.
E’ argomento di infinita discussione l’introduzione di un sistema per la copertura assicurativa dei danni da calamità naturale, magari strutturato con una giusta sinergia pubblico-privato.
Il Servizio Geologico nazionale e quelli regionali non esistono praticamente più.
Il Patto di Stabilità (che dovremmo piuttosto ribattezzare di "instabilità") sta aggravando il dissesto idrogeologico perché impedisce alle amministrazioni locali di fare i necessari interventi di manutenzione e riassetto del territorio, anche se in possesso delle risorse necessarie.
Basterebbe sbloccare tutte queste cose per trasformare un grave problema in un’opportunità di lavoro, sviluppo ecosostenibile e crescita economica, con benefici diretti in termini di sicurezza e protezione dei cittadini e dell’ambiente. Visto anche che investire 1 in prevenzione da un risparmio proporzionato in danni pari a 10!
Il Cresme e la Commissione parlamentare sulla green economy mostrano che un miliardo di euro investiti in riqualificazione del territorio generano fino a 17 mila posti di lavoro, contro i meno di mille creati dallo stesso importo speso in grandi opere.
Le grandi opere, a differenza degli interventi diffusi che coinvolgono una molteplicità di operatori, rappresentano purtroppo uno spazio privilegiato di corruzione ed è ormai inderogabile definire percorsi partecipativi e di controllo democratico per tutte le opere di forte impatto sul territorio.
Per tutto questo la messa in sicurezza del territorio richiede anche un nuovo modo di costruire e, come è stato detto, è la sola grande opera assolutamente indispensabile, ma a parte generali dichiarazioni si continua ad ignorarla.