Con la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Una data scelta non a caso. In questo stesso giorno del 1960, furono uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana. Patria, Minerva e Maria Teresa, soprannominate “las mariposas” (le farfalle) , avevano deciso di combattere il dittatore Rafael Leónidas Trujillo, che le fece trucidare.
Il 1999 ha rappresentato l’anno in cui si è iniziato a dare voce e a denunciare pubblicamente le violenze di cui sono oggetto le donne, sebbene per molto tempo politica, società e istituzioni hanno finto di non capire, fingendo di non ascoltare. Ma il movimento di denuncia non si è più fermato, anzi ha messo in luce i tanti volti che la violenza sulle donne può assumere: dai reati come la violenza fisica a quella sessuale, lo stupro, senza dimenticare la violenza psicologica.
Il velo dell’indifferenza, la sottovalutazione delle denunce, si sta squarciando di fronte anche ai dati oggi a disposizione che designano l’Italia e il Mondo come luoghi in cui subisce violenza, mediamente, una donna su tre dai 15 anni in su. Il 53% di donne in tutta l’Unione Europea afferma di evitare determinati luoghi o situazioni per paura di essere aggredita.
Questi stessi dati hanno dato un volto ai nostri aggressori, hanno definito i luoghi in cui con più frequenza si verificano situazioni pericolose per noi donne: le nostre relazioni d’amore, le nostre case.
A uccidere noi donne sono i nostri uomini, quelli che abbiamo amato.
La realtà riportata dai dati è la seguente: “Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti. Vittime italiane in altissima percentuale (l'80,2% dei casi) con carnefici italiani nel 74% dei casi”
Nei primi dieci mesi di quest'anno sono stati 95 in Italia gli omicidi con vittime femminili, quasi uno ogni tre giorni: 80 commessi in ambito familiare/affettivo e 60 all'interno di una relazione di coppia.
Sono dati drammatici che non possono non farci riflettere e agire, sollecitando all’azione soprattutto quelle persone che ricercano sempre una giustificazione, un perché di tanta violenza, camuffata da amore. Sono ancora tante, troppe, le donne che per amore giustificano atteggiamenti del proprio partner che sistematicamente le portano a una disistima personale profonda, e a una subalternità totale.
Fra le tante forme di violenza di cui siamo oggetto c’è ne una ancora non troppo denunciata, infinitamente subdola: la violenza economica.
È violenza economica un mercato del lavoro che “obbliga” le donne ad occuparsi principalmente del mondo dei servizi e della cura alla persona. È violenza economica il part time involontario, la carriera discontinua, il non accesso alle posizioni apicali dirigenziali. È violenza economica l’orario di lavoro che non tiene conto della vita delle donne, ecc. ecc...
La Convenzione di Istanbul la definisce come: “violazione dei diritti umani e forma di discriminazione contro le donnecomprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.
Ognuna di noi sa bene quanti volti può assumere la violenza, la discriminazione legata al genere: lo impariamo da piccole! Così come impariamo ad annullarla, delegittimarla, annientarla, e anche ad evitarla!
Non bisogna MAI convivere con la violenza e la discriminazione.
Denunciamo SEMPRE! Combattiamo SEMPRE!
Il 25 novembre è il giorno in cui si combatte e si denuncia insieme, nelle piazze e in ogni luogo. Ma il resto dell’anno deve essere SEMPRE il 25 novembre, nei luoghi di lavoro, nelle aule universitarie, in quelle scolastiche, in tutte le strade che percorriamo e viviamo, nelle nostre famiglie e in tutte le nostre relazioni.